Jo la piazza

Come è approdato negli anni ’60, vivendo in un piccolo paese allo studio dell’astrologia?

Avevo incontrato un vecchio musicista, ospite presso una nostra vicina di casa, la signora Floridi, dalla quale andavo per suonare il pianoforte. Era un conoscitore delle discipline esoteriche; mi insegnò a giocare a scacchi e passammo molto tempo a discorrere di argomenti che riguardavano l'altra dimensione dell’uomo. Appena morto mio padre, quando avevo quattordici anni, ebbi due incontri straordinari a Roma: era il 1964, io ero un po’ depresso e una mia zia mi portò dal professor Antonio Negro, illustre omeopata, che in breve tempo mi fece riprendere individuandomi nella tipologia di “Phosphorus”; poi, sempre per le mie curiosità parapsicologiche, andai a conoscere Francesco Waldner, un astrologo-veggente molto noto a livello internazionale.

Fu lui a regalarmi un suo almanacco e un libro di effemeridi (le tavole con il movimento giornaliero dei pianeti), spingendomi ad osservare come il carattere possa essere legato ad una tipologia planetaria. Con questo “gioco delle perle di vetro” entrai così in contatto con varie persone: una di loro era una psicologa junghiana dalla quale andai diversi mesi restando poi in contatto epistolare per lungo tempo e continuando a vederla più volte l’anno. Alcuni amici al corrente dei miei interessi mi informarono che durante il periodo autunnale e primaverile a Roma si tenevano conferenze su temi parapsicologici in cui facevano alcuni esperimenti pubblici di E.S.P (percezione extrasensoriale).

 Perché non si orientò subito verso la psicologia dati i suoi interessi sempre più marcati in tal senso?

In realtà le mie passioni erano molte, per esempio la chimica, stavo per iscrivermi a un Istituto per Chimica Industriale a Fermo quando la morte di mio padre non mi permise di allontanarmi, e quindi ripiegai sugli studi umanistici per i quali avevo altrettanto interesse. Dopo il diploma mi ero appena iscritto a Medicina per specializzarmi in neurochirurgia ma nel novembre 1969 la malattia di mia madre mi costrinse a cambiare facoltà. Non avrei potuto più seguire un corso di laurea così lungo e restare a Roma: pensavo perciò di specializzarmi dopo in psicologia, la facoltà non era ancora nata .Mi laureai e cominciai a insegnare Lettere alle medie per qualche anno, poi Storia e Filosofia nelle scuole superiori. I due eventi (la scomparsa e la malattia dei miei genitori) hanno determinato la scelta dei miei studi.

 Potrebbe dirci quali eventi psicologici hanno determinato il percorso delle sue ricerche se li ha individuati in questa sua continua introspezione?

Un brano delle "Memorie di Adriano" di Marguerite Yourcenar, scrittrice che amo molto, esprime bene il mio orientamento iniziale, animato da una grande curiosità per la vita e che si è non del tutto placato.

“Una parte di ogni vita umana, persino di quelle che non meritano attenzione, trascorre nella ricerca delle ragioni dell’esistenza, dei punti di partenza, delle origini. La mia incapacità di scoprirle mi fece inclinare a volte verso le interpretazioni magiche, mi indusse a ricercare nei deliri dell’occulto ciò che il senso comune non mi offriva. Quando tutti i calcoli astrusi si dimostrano falsi, quando persino i filosofi non hanno più nulla da dirci, è scusabile volgersi verso il cicaleccio fortuito degli uccelli, o verso il contrappeso remoto degli astri”.

 Ma oggi quali sono le sue idee il suo credo più profondo circa la mente umana e l’uomo?
 

E qui debbo prendere in prestito le parole di G. Bateson nel libro “Verso un’ecologia della mente”:
“ Esiste una mente più vasta di cui la mente di un individuo è solo un sottosistema. Questa mente più vasta è forse quella che alcuni chiamano Dio. Ma è immanente nel sistema sociale totale, interumano, e include l’ecologia planetaria. Sono sicuro che valga la pena di cercare di percepire questa rete di modelli e conoscenze. In un certo senso, noi la conosciamo già e al tempo stesso non la conosciamo. Siamo tremendamente accerchiati da voci schiamazzanti che ci parlano del senso comune più trito piuttosto che di “saggezza”, se esiste”. Per quanto riguarda l’uomo devo concordare con Freud quando, molto vecchio, a Maria Bonaparte una sua paziente confidò:“ non mi intendo affatto di esseri umani....offro la mia fiducia, e poi rimango deluso”.

  

Mi pare di capire che esclude la trascendenza in una sorta di religione immanente.

Non direi proprio: la visione cristiana della vita in senso ampio mi sollecita molto come itinerario che conduce a una forma di serenità. Non ho una risposta definitiva di fronte al mistero occorre procedere con molta umiltà, ho sempre presente ciò che dice l’Ecclesiaste : “Né di un sapiente né di un idiota avrà memoria il tempo”, libro che è una riflessione amara e disincatata sulla caducità dell’esistenza. Anche qui preferisco utilizzare le parole altrui per esprimere il mio pensiero; in questo caso attingo a “Ricordi, sogni e riflessioni” di Jung: “ L’uomo deve sentire che vive in un mondo che, per certi aspetti, è misterioso; che in esso avvengono e si sperimentano cose che restano inesplicabili, e non solo quelle che accadono nell’ambito di ciò che ci si attende. L’inatteso e l’inaudito appartengono a questo mondo. Solo allora la vita è completa. Per me, fin dal principio, il mondo è stato infinito e inafferrabile”.

 

 

Va bene l’irruzione dell’inatteso nella vita ma Dio come se lo raffigura o meglio a quale altare ama inginocchiarsi?

Per descrivere il mio atteggiamento di fronte alla divinità e l’altare prendo in prestito le parole di * Dag Hammarskjöld che progettò e seguì personalmente in ogni dettaglio la creazione della stanza per la meditazione al Palazzo delle Nazioni Unite.

“Ciascuno di noi ha dentro di sé un centro di quiete avvolto dal silenzio. Questo palazzo, dedicato al lavoro e alla discussione a servizio della pace, doveva avere una stanza dedicata al silenzio, in senso esteriore, e alla quiete in senso interiore. L'obiettivo è stato di creare in questa piccola stanza un luogo le cui porte possano essere aperte agli spazi infiniti del pensiero e della preghiera. Qui si incontreranno persone di fedi diverse e per questa ragione non si poteva usare nessuno dei simboli cui siamo abituati nella nostra meditazione(...) Così, al centro della stanza vediamo un simbolo di come, quotidianamente, la luce dei cieli dà vita alla terra su cui tutti ci troviamo, un simbolo per molti di noi di come la luce dello spirito dà vita alla materia.
Ma la pietra in mezzo alla stanza ha qualcosa di più da dirci. Possiamo vederla come un altare, vuoto non perché non vi è un Dio, non perché è un altare a un dio ignoto, ma perché è dedicato al Dio che l'uomo adora sotto molti nomi e in molte forme.
La pietra in mezzo alla stanza ci ricorda anche ciò che è saldo e stabile in un mondo di movimento e di mutamento (...) È una memoria di quella pietra angolare di resistenza e di fede su cui deve basarsi ogni sforzo umano.
(...) Con il ferro l'uomo ha forgiato le sue spade, con il ferro ha anche fabbricato i suoi aratri. Con il ferro ha costruito carri armati, ma con il ferro ha edificato anche case per l'uomo. Il blocco di minerale ferroso è parte della ricchezza che abbiamo ereditato su questa nostra terra: come dobbiamo usarne?
Il raggio di luce colpisce la pietra in una stanza di estrema semplicità. Non vi sono altri simboli, non v'è nulla che distragga la nostra attenzione o irrompa nella nostra quiete interiore. Quando il nostro sguardo si muove da questi simboli verso la parete di fronte, incontra un disegno semplice, che apre la stanza all'armonia, alla libertà, all'equilibrio dello spazio.
Un antico detto ricorda che il senso di un recipiente non sta nel guscio ma nel vuoto. Così è di questa stanza. È per quanti vengono qui per riempire il vuoto con ciò che trovano nel proprio centro di quiete”.

Sono Pietro con la mano alzata nell'immagine "Ultima Cena" della ritrattista russa Tsarkova
 

 

 


Questo suo modo di rispondere mi fa pensare che lei viva a stretto contatto con i suoi autori preferiti.

I libri sono da sempre la mia migliore compagnia, come dice Proust “la lettura è una forma di amicizia, la più sincera, perché con i libri non ci sono convenevoli. Se trascorriamo la serata con loro è perché ne abbiamo veramente desiderio” ma anche gli animali e le piante, di cui non potrei fare a meno. E ancora Pavese: "Leggendo non cerchiamo idee nuove, ma pensieri già da noi pensati, che acquistano sulla pagina un suggello di conferma. Ci colpiscono degli altri le parole che risuonano in una zona già nostra - che già viviamo - e facendola vibrare ci permettono di cogliere nuovi spunti dentro di noi."E lascerei un posto particolare alla musica operistica e classica, e ai cantautori che hanno accompagnato alcune tappe della mia vita giovanile. Con gli uomini sono molto selettivo, ho pochissimi amici a cui sono molto legato e che non vedo spesso ma sento volentieri al telefono; ora poi ci scriviamo grazie ad Internet. Ho anche molti conoscenti, per la mia facilità a entrare in contatto con le persone, ai quali dedico massima attenzione ma non troppo tempo. Il mio lavoro del resto occupa una parte consistente della giornata; se si aggiunge la lettura resta davvero ben poco tempo per andare a vedere un buon film o uscire per una pizza o fare una lunga passeggiata nel verde...

 

 

Oltre ai libri di letteratura e saggistica quanto posto occupa nella sua vita la musica.
E la sua battaglia per il restauro del prezioso Organo del ‘600 del Ruscello, chiesa a cui è particolarmente legato?

La musica è fondamentale, ho tutte le radio di casa sintonizzate su Radiotre con cui mi sveglio alle 6 del mattino. Mi piacciono anche i cantautori. Come avevo già detto, frequentavo nell’adolescenza casa Floridi, dove la famiglia Benedetti in particolare il maestro di musica Otello, la inondava con le sue gratuite lezioni di musica. Ma ancora piccolo mio padre e mia madre melomani, avevano dischi d’opera e conoscevano le varie arie, in particolare mio padre le canticchiava e suonava la chitarra. Mia nonna paterna cantava benissimo, aveva anche cantato a teatro. Sempre in quel periodo, Don Manfredo Manfredi rettore del Santuario mi ha spronato a suonare l’organo monumentale durante la messa, conosco le preziose sonorità ecco perché mi sono battuto per ottenere l’approvazione al restauro.

 

 


 

Lei preferisce non toccare il tasto che riguarda la sua particolare “sensibilità” qualcuno in paese lo definisce ironicamente un profeta antico……..

Ho pensato molto, da giovane, condividendola, alla definizione di profeta che Hermann Hesse dà, parlando di Dostoevskij, non posso non riportare parte del brano: “ Il profeta è un malato particolare…….un malato di questa specie si chiami in qualsiasi modo ha quella strana, segreta, morbosa, divina facoltà il cui germe gli asiatici venerano in ogni pazzo…….in lui si è formato un organo, un’antenna, uno strumento raro, delicatissimo, mobilissimo, ipersensibile, che altri non hanno, che in tutti gli altri per loro fortuna e salvezza, è rimasto atrofizzato. Quest’antenna, questa sensibilità divinatoria, non bisogna intenderla grossolanamente come una specie di sciocca telepatia, di sortilegio, sebbene questa facoltà possa manifestarsi benissimo anche in simili forme strabilianti. Un malato di questo genere, invece, innalza i movimenti della propria anima su un piano generalmente umano. Ogni uomo ha delle visioni, ogni uomo ha della fantasia, ogni uomo ha dei sogni. E ogni visione, ogni sogno, ogni idea e ogni pensiero d’un essere umano può nel suo viaggio dall’inconscio alla coscienza, subire mille interpretazioni diverse, ciascuna delle quali può essere esatta. Ma il veggente e il profeta non dà alle proprie visioni una interpretazione personale, l’incubo che lo opprime non gli ricorda la sua personale malattia, la sua morte personale, ma quella dell’intera comunità, di cui egli è l’organo l’antenna…”

 

 

 

Se dovesse dare un giudizio su di sé che direbbe?

Credo di essere un uomo abbastanza “ubbidiente”, mosso dall’ “amor fati", come direbbe Nietzsche. Penso di aver seguito, senza ribellione alcuna, un cammino lineare sul piano logico e tortuoso su quello pratico, scandito da una serie di eventi che hanno marcato nitidamente un percorso. Sono soddisfatto della mia vita, per quello che mi ha permesso di conoscere, sentire e amare. Ho avvicinato e sono stato amico di persone straordinarie - per citarne due Lisa Morpurgo studiosa rivoluzionaria dello Zodiaco e lo scrittore di storia delle religioni, di simbolismo e di tradizioni popolari Alfredo Cattabiani - da cui ho molto imparato; alcune sono tutt’ora viventi e mi deliziano della loro amicizia preziosa. Spero, quando sarà l’ora, in una sorta di prolungamento vuoi fideistico vuoi immaginario del mio tempo, di essere pronto ad oltrepassare, come dice in una sua poesia il prof. Servadio, “…la porta stretta. Quella che si attraversa a capo chino. Sulla strada in salita verso il cielo”.

 

 

E’ arcinoto il suo interesse per l’ecologia e in particolare una sorta di attaccamento a tutti gli animali, in particolare cani e gatti, come se lo spiega?

L’imprinting è avvenuto molto presto, quando sono nato, mio padre aveva una cagnetta uno spinone maculato, Lilla, che mi era sempre accanto, viveva in casa. Penso che in particolare i cani forse più dei gatti, sappiano leggere nel cuore umano con una intuizione che sconfina nella divinazione. Il loro sguardo è di una trasparenza assoluta, riescono a cogliere la parte più nascosta dell’animo umano, sono disposti a stare con te condividendo tutto con un’intensità d’affetto che ne resti sopraffatto. Freud diceva che negli animali si ama “ la semplicità di una vita libera dai conflitti della civiltà e la bellezza di un’esistenza perfetta in sé stessa”. Le mie giornate si aprono con un saluto al mio gatto, a quelli sotto casa ad un cane che dorme davanti alla mia porta, non vuole entrare, e a quelli vaganti che mi corrono incontro. Li considero i miei fratelli minori ma non meno importanti in una convivenza d’amorosi sensi.

 

 


Quanto ha contato la sua analisi personale a dare un senso alla sua vita? 

Ho trovato una poesia che rappresenta il paradigma di un percorso terapeutico; Itaca è sicuramente il trovare se stessi, il Sé che dà completezza alla nostra esistenza. Non posso non essere grato a chi è stato un faro in questo lungo frastagliato percorso, cito solo alcuni versi del poeta greco Kavafis

 

"Quando ti metterai in viaggio per Itaca
devi augurarti che la strada sia lunga
fertile in avventure e in esperienze....
Sempre devi avere in mente Itaca –
raggiungerla sia il pensiero costante .
Soprattutto, non affrettare il viaggio
fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio
metta piede sull'isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca
Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo
in viaggio: che cos’altro ti aspetti?
E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso.
già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare."

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