Jo la piazza

 



Un giorno pensai di fare il cinema: presi una scatola di scarpe vuota e ci tagliai una finestrella quadrata, messaci dentro un pezzo di candela accesa, nel muro veniva proiettato un quadro di luce davanti al quale facevo ballare, legati col filo di cotone, dei pupazzi che avevo in precedenza ritagliati. Sul muro si vedevano grandi e, movendoli, li facevo correre, danzare ecc. Un pomeriggio, dentro il portone di casa nostra, ci fu una proiezione per tutte le vicine e i ragazzini del vicinato. I primi posti costavano due soldi e i secondi posti un soldo. Ebbe, cosi’, inizio lo spettacolo. Tutto procedeva a meraviglia, il pubblico era molto. Quando per la ressa dei ragazzini, cadde, dalla sedia dove era, la macchina di proiezione e ando’ a fuoco. Tutti rivolevano indietro i soldi pagati, ma io e il socio, ce la demmo a gambe. Cosi’ fini’ il cinema!
Nel frattempo mi esercitavo a ricopiare la musica dal libretto delle marce del babbo, e, siccome la ricopiavo benino, avevo le lodi degli altri musicanti.
Spesso, seduto accanto al camino, ascoltavo, dalla nonna Santina, le cose antiche. La nonna, tra l’altro, diceva sempre: «Sia lodato e ringraziato, ogni momento, il santissimo, sacratissimo sacramento », oppure: «Lodato sempre sia il santissimo nome di Gesu’, Giuseppe e Maria.»
Intanto avevo iniziato le scuole elementari. Nella prima elementare avevo la maestra Lanfranchi, una Genovese molto brava; nella seconda e terza classe, la maestra Azelia Forti di Monza, era sposata con Leongualberto Floridi, direttore didattico e nipote al maestro Adriano. La maestra Forti mi voleva molto bene e siamo rimasti amici fin quando e’ morta. Nella quarta e quintA’ elementare ho avuto, come insegnante, il maestro Giuseppe Ercoli, il quale, la mattina prima di venire a scuola, veniva sulla nostra vigna, al poggio, dove aveva un capanno, e sparava agli uccelli che si posavano su una grande quercia. Questa vigna si trovava a pochi minuti di cammino dal paese.
«Signor Maestro, l’inchiostro scrive bianco! », chi parlava era un’alunna, Gabriella Biagiarelli, figlia di una famiglia ricca del paese, «Come puo’ essere », risponde il maestro, «ce l’ha messo ieri la Costanza ». (Costanza era la bidella). «Ma intanto l’inchiostro scrive bianco ». Il fatto era stato che io avevo riempito il calamaio di urina e purtroppo, come succede in questi casi, si riusci’ subito a scoprire il colpevole. Ebbi una bella lavata di testa e non venni sospeso perché ero sempre stato un ragazzo modello e studioso.
Fu in questo periodo che ci diedero la divisa da balilla ed il giorno quattro di Novembre io, e un compagno, che poi si e’ fatto frate, montammo la guardia d’onore al monumento dei caduti, per l’anniversario della vittoria.
«Beati voi che siete nati in questi tempi, dove regna l’ordine e il rispetto per ogni cosa e specie per le persone anziane ». Cosi’ ci diceva la maestra Forti, mentre eravamo nella 2a elementare, «Prima i delitti non si contavano e la delinquenza regnava ovunque; cio’ lo dobbiamo al nostro duce Benito Mussolini, l’uomo della provvidenza; come lo chiamano tutti, incominciando dal Papa ». Logicamente, noi ragazzi, non avevamo la minima idea di quello che vi era prima dell’avvento del fascismo al potere. Chi ce l’avrebbe detto che, purtroppo, in seguito dovevamo sperimentare questa specie di falsa democrazia, forse peggio di quella che avevano vissuto i nostri padri.
Quando avevo nove anni, io e Cleo si fece la cresima con la prima comunione. Ogn’uno aveva un suo compagno che durante la processione dovevano stare insieme portando la candela.
lo ero convinto che il mio compagno sarebbe stato il mio amico Giuseppe Chiricozzi, ma questi, all’ultimo momento, scelse Dario Forliti. Io rimasi senza compagno, e cosi’ solo rimase Almo Mastrogregori figlio di Settimio, che di mestiere faceva il pastore di pecore; cosi’ don Secondo, il parroco di S. Vittore, ci mise assieme e d’allora siamo rimasti ottimi amici fino che e’ morto. Il fratello di questi, Carlo, ando’ compagno a mio fratello Cleo.
Almo aveva la passione di intagliare il legno, facendoci delle ottime figure; qualitA’, che se fosse stata coltivata, avrebbe dato buoni frutti. Invece doveva andare a pascolare le pecore. Questa qualitA’ per la scultura l’ha trasmessa al figlio Luigino. Almo, oltre alla passione per scolpire il legno, aveva anche quella della musica, poiché aveva un ottimo orecchio musicale e una discreta voce baritonale. Purtroppo non ha potuto curare né l’una, né l’altra: il padre, persona ignorante, queste qualitA’ del figlio non le comprendeva e lo portava sempre con sé a pascolare le pecore, tanto che frequento’ solo la prima elementare e basta.
Un giorno ero a cavallo della miccia (la somara) e andavo su per la salita del poggiolo quando, un somaro, aizzato dalla gente che era ai lati della strada, si mise ad inseguire la miccia e questa scappo’. Io persi l’equilibrio e caddi a terra, il somaro, che veniva appresso, mi mise uno zoccolo sulla fronte: rimasi vivo per miracolo.
In questo periodo il babbo raccoglieva le castagne dei castagneti di Guglielmo Janni, a terzo, assieme a Vittore Chiricozzi (detto scoccetta) e a Lisa Barcherini. Questo castagneto si trova nella contrada chiamata “Chena”, posto molto bello e dove ci nascevano e ci nascono tuttora, molti funghi specie i Porcini. Raccogliere le castagne a terzo, significava che, delle raccolte, due terzi andavano al proprietario e un terzo veniva diviso in tre.


 

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