Jo la piazza

La prima volta che sentii nominare il nome di Verdi, credo che sia stato nel mese di ottobre sempre intorno al 1934. Mi ero alzato dal letto prima di tutti perché, prima di andare nel castagneto, volevo studiare un po’. Mentre stavo suonando, entra lo zio Elia, detto per soprannome Caino, marito della zia Costanza, molto appassionato di musica, come del resto tutti i “Paesani” e, sentendomi suonare mi chiese se quello che stavo suonando era musica di Verdi. Io dissi di no, ma quel nome, che prima non avevo mai sentito, mi fece uno strano effetto e d’allora entro’ nella mia vita per sempre assieme ai grandi della musica.
Un altro episodio che devo raccontare fu quello della pianta di Gelso. Sul Poggio, inserito in un filare, vi era un grosso albero di Gelso. La pianta non era grande, ma il tronco era molto grosso di circonferenza. Una mattina verso le IO, io, Cleo, Paola e Fasma, si ando’ al poggio e volendo cogliere i gelsi, di quelli grossi e neri, buonissimi, ci accingemmo a dare l’assalto alla pianta. Si appoggiarono al tronco le rocce (specie di piccola scala a due pioli che serviva a trasportare i biconci) e io, faticando non poco, riuscii ad arrivare in cima. Cleo, dopo di me, molto combatté e, anche lui, con molta fatica, riusci’ ad arrampicarsi. Nel mentre, sotto all’albero, le sorelle pregavano affinché le gettassimo i gelsi. Noi eravamo mezzo nascosti dal fogliame dell’albero. In un certo momento Cleo, forse a causa dello sforzo fatto, mi disse che gli veniva di andare di corpo; al che gli risposi di scendere e fare i suoi comodi. Al che lui, dopo la grande fatica che aveva fatto per salire, non si sentiva di scendere. Intanto, sotto, le sorelle gridavano che le buttassimo i gelsi. Cleo, non potendosi piu’ trattenere, si mise su un ramo, che stava orizzontale, si calo’ i calzoni e fece quello che non avrebbe dovuto fare. Le sorelle sempre gridavano e io e Cleo le dicevamo di togliersi da sotto; loro, che pensavano che dovessimo buttare i gelsi, non si muovevano, anzi ci incitavano a buttare i gelsi e fu cosi’ che tutte e due ricevettero le feci di Cleo sulla testa. Lascio immaginare gli strilli. Minacciarono di dirlo subito al babbo e altre cose. Dovettero andare, di sotto, nella “vorica” a pulirsi. La sera il babbo disse alla mamma: non so chi sarà stato e come avrà fatto a cagare sopra la vite dell’uva.
Col tempo, sempre piu’ spesso, Otello sostituiva Adriano nella direzfone della banda, finché Adriano, che era molto avanti con l’etA’, non si mise da parte e Otello entro’ definitivamente come maestro. Credo che si era nel 1932, quando si cambio’ lo strumentale della banda: dal vecchio consta, si passo’ al nuovo consta.
Per pagare gli strumenti nuovi, dovettero firmare le cambiali i musicanti stessi e, per molto tempo, i soldi delle prestazioni, andavano tutti per pagare lo strumentale. Ci fu qualche musicante, come Ambelio Procaccioli, che non volle firmare alcuna cambiale e se ne usci’ dalla società musicale che si chiamava e si chiama tuttora:
Giovanni Maria Nanino, in omaggio ai grandi musicisti del millecinquecento, nati a Vallerano.
Il fratello di Giovanni Maria, Bernardino, oltre ad essere grande compositore, era pure direttore della cappella Giulia di Roma, alla quale successe un altro Valleranese: Paolo Agostani che aveva sposato la figlia di Bernardino.
In seguito, dopo gli strumenti nuovi, io lasciai di suonare il Flauto e presi l’Oboe. Strumento, allora, per molti, sconosciuto e che suonai fino al 1936, quando andai a studiare a Roma.
Non solo gli strumenti, si fecero pure le divise nuove che furono bianche, lasciando definitivamente la vecchia divisa che consisteva: pantaloni turchini con bandoliere laterali rosse e giacca (Tonachetta) blu scuro, con gibema per metterci il libretto delle marce, il berretto alto. Era la stessa degli ufficiali dell’ottocento e che poi e’ rimasta agli allievi ufficiale dell’accademia di Modena. Ottima divisa che fece sempre bella figura e che piacque molto. La nuova divisa bianca, cucita dai vari sarti di Vallerano e, tra questi, Ulderico Piccioni che aveva la bottega in piazza e che era al centro dell’interesse generale. L’inaugurazione avvenne il giorno della fiera, seconda domenica di Agosto, con grande partecipazione di tutta la popolazione e che, per l’occasione, si fece una bella fotografia davanti la chiesa del Ruscello. Presidente era Domenico Ranucci, vi era il PodestA’: Daniele Marcucci, lo bidello era Savino: scopino e banditore del comune, io sono lo piu’ piccolo e sto davanti ai timpani.
Sempre nei ‘34 si partecipo’, con la banda, ad un concorso di bande a Viterbo (a prato giardino) e la banda di Vallerano, diretta da Otello, prese il primo premio. Si esegui’ la sinfonia del Guglielmo Teli di Rossini. Ricordo che, quando la sera, si ritorno’ a Vallerano, col treno, tutta la popolazione era ad aspettarci alla stazione e mentre la banda, suonando una marcia, percorreva il Viale Trieste che dalla stazione porta al paese, era circondata e seguita da una grande folla di uomini e donne che applaudivano.
Le altre bande, che presero parte al concorso, non le ricordo bene tutte, certamente vi era quella di Fabrica di Roma, diretta da Raffaele Poleggi (Valleranese), quella di Gallese e altre che non ricordo.
Oltre ai concerti in occasione di feste religiose, a Vallerano e paesi vicini, si tenevano concerti, specie d’estate, in piazza e nel giardino pubblico. D’inverno, qualche volta, ai chiuso, nel vecchio Teatro comunale.
Ricordo il concerto di Gennaio, si ando’ al Teatro che nevicava e che giA’ vi era, a terra, molta neve, credo sia stato nel ‘29. Il teatro era gremito, si ebbe molto successo. Prima tromba solista, era il babbo, che suonava la cornetta in si bemolle. Aveva una bella voce ed eseguiva la musica con molto sentimento. Spesso veniva da Maglianetto, Raimondo Paesani, che dirigeva la banda di quel paese, e, con la cornetta, aiutava, non aveva una bella voce come quella di mio padre, ma aveva, in compenso una buona lettura e una discreta tecnica. Con mio padre divennero compari, poiché Raimondo fece da padrino al battesimo di mio fratello Umberto. Il compare Raimondo era uno di comitiva: sempre allegro e pronto alle battute spiritose.
Uno dei piu’ riusciti concerti, fu quello fatto a Viterbo in piazza del comune in occasione della festa di 5. Rosa. Allora la vita, nel paese, si svolgeva molto tranquilla:
non vi erano le lotte politiche che rovinano gli animi anche in seno alle famiglie, come avviene oggi, specie in clima elettorale.
Tutto l’interesse della gente si riversava sui fatti del paese e, soprattutto sulle persone: vi era, per esempio, Simone Creta, specializzato per fare i palloni stratosferici che venivano fatti alzare in occasioni delle feste, e delle porte di carta molto belle e lavorate che aprivano l’illuminata in onore della Madonna del ruscello, durante la festa che si faceva nella seconda domenica di Agosto; festa scomparsa e presa da S. Vittore, che allora si festeggiava nella seconda domenica di Settembre.
Oltre alle feste religiose, vi erano quelle di carattere nazionale: nella ricorrenza della vittoria, il 4 di novembre, della nascita del Re, l’li novembre, della marcia su Roma il 28 ottobre, del 21 Aprile natale di Roma che aveva soppiantato quella del 1° maggio, ecc.

 

 

 
Nei cortei prendeva parte, dietro la banda, tutta la popolazione, cantando i vari inni nazionali dell’epoca. Queste manifestazioni, di carattere patriottico, si intensificarono di quantitA’ e qualitA’ con la guerra contro l’Etiopia e la guerra civile di Spagna alla quale presero parte pure, come volontari, due di Vallerano: Pietruccio Mastrogregori e Lelle, non ricordo il cognome. In quel tempo, attorno al 1934-35, anche quei pochi che erano stati contrari al regime fascista, come un cugino del babbo, Gino Gregori, ecc., partecipavano volontariamente alle manifestazioni.
Io, da piccolo, essendo il piu’ grande dei figli, seguivo sempre il babbo ovunque andava, specie nelle varie cantine a fare merenda cogli amici e cognati. Mi piaceva sentire raccontare i fatti della prima guerra mondiale; zio Martino era stato sergente maggiore e zio Annunziato, pure come il babbo, erano stati al fronte.

 

 

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