Jo la piazza

Ricordo quando, la domenica eravamo io, Cleo e Vittore, a vigilare il castagneto, si cuocevano le castagne dentro un recipiente di latta (le lesse). Il fuoco si accendeva dentro al Raticcio, specie di costruzione in muratura che serviva ad essiccare le

castagne dette poi mosciarelle. Ricordo le gare che si facevano per chi riempiva prima il capagno (cesto di vimini col manico), il vincitore aveva, per premio, una caramella.
Durante il mese di ottobre si andava, ogni giorno, nei castagneti per la raccolta delle castagne ed io mi rimettevo in salute poiché mangiavo molto di piu’, specie pane e pomodoro. Negli altri mesi mangiavo molto poco; con la disperazione della mamma.
Spesso, le castagne, non si vendevano subito, come succede ora, ma si dovevano tenere nella cantina e, ogni sera dopo cena, si dovevano rimuovere, con le pale di legno, per non farle ammuffire. Io, logicamente, essendo il figlio piu’ grande, dovevo seguire il babbo per tenere la candela accesa o la “Acetilena” che andava a carburo. Questo lavoro spesso durava dei mesi, e cioe’ finché non si vendevano le castagne, che avveniva verso il mese di marzo.
Durante l’inverno, prima di andare a scuola, mi alzavo col babbo e lo aiutavo a riempire le balle (specie di sacchi) di letame che, caricate sulla schiena della miccia, si portavano in campagna per la concimazione. Andavo col babbo, in campagna e lo aiutavo nei lavori, poi, quando alle otto e mezza suonava la campana che annunciava l’inizio della scuola, me ne andavo a scuola. Finita la scuola, a mezzogiorno, spesso ritornavo in campagna, sempre al Poggio, dove, poco dopo, arrivava la mamma con sulla testa il cirigno (canestro di vimini) pieno del mangiare per il pranzo. Sul poggio, nella parte a mezzogiorno vi erano delle grotte dove ci tenevamo le galline, i conigli e il maiale. Quando nascevano i conigli, io e Cleo, stavamo delle ore ad aspettare l’arrivo dei piccoli coniglietti, che discendevano dai buchi interni della grotta, per vederli mangiare.
Sulla vigna, al Poggio, si svolgeva la maggior parte della nostra vita e dopo molto tempo, specie d’estate, mi ha fatto sempre piacere andarci che, oltre al posto magnifico che e’, mi ricordava tante cose della mia infanzia.
Allora il mondo, specie nei piccoli centri come Vallerano, era molto circoscritto e qualsiasi piccolo avvenimento serviva a rompere la monotonia della vita paesana.
Un avvenimento, per me molto importante, fu l’uscita a suonare nella banda cittadina diretta, allora, dal maestro Adriano Floridi. Avevo imparato la musica con il babbo e con un allievo suo, Querino Paesani. In seguito, per lo studio dello strumento, il Flauto, da Otello Benedetti che poi successe allo zio Adriano, nella direzione della banda.
La mia prima uscita con la banda avvenne il 25 dicembre del 1932. Con me uscirono a suonare Elvino Forliti col sax contralto e Ottavio, detto il “Purtigallo”, col clarinetto contralto. Malgrado il freddo, si fece un piccolo concerto in palco, con Otello, che spesso andava a Roma a prendere lezioni di armonia dal M° Caruana. Incominciai

pure lo studio della teoria musicale con i principali accordi. Otello, allora, faceva il fabbro e spesso suppliva lo zio nella direzione della banda musicale.
In questo periodo mio cugino Goffredo, figlio della zia Costanza, che si trovava in America, negli Stati Uniti e che c’é rimasto fino alla fine dei suoi giorni, mi mando’ un dollaro per regalo. Si cambio’ il dollaro e ci si presero diciotto lire con le quali si compro’ un agnello piccolino e che andavo a pascolare al Poggio. Mentre l’agnello brucava l’erba, io, da un lato, studiavo il Flauto e un giorno, mentre ero attento a suonare, l’agnello, che si chiamava “bocciarello”, rompendo la corda che lo teneva legato, se ne ando’ per i fatti suoi. Gli correvo dietro cercando, invano, di acchiappare la corda e, piangendo, lo chiamavo:« Bocciarello, bocciarello ».
Cosi’ correndo, dal Poggio si arrivo’ fino alla contrada Pieve nella vigna di Gino Mastrogregori detto “Milletti”, questi, essendo molto alto, mentre l’agnello girava attorno al paiaio, si allungo’ a terra e riusci’ ad afferrare la corda che legava l’animale al collo, e cosi’ fu che riuscii a prenderlo.
Spesso succedeva che l’agnello, non solo mangiava l’erba, ma spesso riusciva, eludendo la mia sorveglianza, a mangiare le tenere cime dei cavolfiori. Qualcuna di queste cime, mezze mangiate dall’agnello, le finivo di mangiare io e fu cosi’ che mi vennero le febbri maltesi; stetti male circa un mese.
Verso Pasqua si vendette l’agnello e col ricavato mi comprai un paio di scarpe basse rosse, era nel 1933.
11 giorno tre del mese di Maggio, sempre del 1933, si ando’, con la banda, a suonare a Chia: piccolo paese, frazione di Soriano nel Cimino; a circa quindici chilometri da Vallerano. La banda ci andava quasi ogni anno, e per i musicanti, andare a suonare a Chia, era un divertimento. Nel pomeriggio del due, incominciarono le partenze di qualche gruppo che, a piedi, fermandosi ad ogni casale, suonando, arrivava a Chia. I casali erano una specie di fattorie dove le famiglie vivevano tutto l’anno. Dopo la guerra, questi casali, sono stati, quasi tutti, abbandonati.
Io, mio padre ed altri, tra cui Loreto Paesani che suonava la grancassa, si parti’ verso le 15 col carretto a quattro ruote (cariolo) di Checco (Francesco) di Ruggero. Mentre si era per partire, incomincio’ a cadere, dal cielo, tutta terra rossiccia che ci sporco’ i vestiti; come Dio volle, si parti’.
Si arrivo’ a Chia, dove giA’ erano arrivati alcuni gruppi, e venimmo alloggiati in un grande locale che serviva pure per dormire per mezzo di pagliericci messi a terra; mentre per mangiare si era ospitati presso le famiglie. Io andai, assieme al maestro Adriano, a mangiare presso una grande casa vicino alla piazza principale. In questa casa vi era una grande cucina con un camino molto ampio. Questa casa poi l’ho rivista dopo
circa quarantasei anni, quando andai a parlare con un musicante della banda della guardia di Finanza, Troisi, per invitarlo a suonare nella banda di Avezzano, da me diretta, per la festa di S. Vittore a Vallerano.
Troisi aveva sposato una nipote di quella famiglia. La mattina della festa, la gente prima di alzarsi, voleva sentire la sveglia, suonata da alcuni volenterosi musicanti (era l’usanza), e un gruppo di musicanti si alzava verso le cinque e, formando un concertino, facevano il giro di tutto il paese che si destava in festa.
Raccontavano, i musicanti anziani, che un anno, durante la festa, nel paese vi erano due briganti: Ansuini e Menichetti e la banda, avendo allora un uniforme comprendendo un pennacchio sul cappello e uno squadrone (sciabola) al fianco, fece il concerto, sul palco, tenendo lo squadrone sguainato.
Un’altra festa che la banda di Vallerano faceva quasi ogni anno, era nel paese di Mugnano a pochi chilometri da Chia, vicino al Tevere. Anche qui, i musicanti erano ospiti, per mangiare, presso le famiglie e tra loro e queste si stabiliva, spesso, una vera amicizia che durava per sempre. Queste feste e altre, per i musicanti erano veri e propri divertimenti e, addirittura, si trasformavano in gite. Un’ altra festa, che ricordo bene, fu a Bassanello (oggi Vasanello) per S. Antonio il 17 gennaio. Al servizio serale, senza palco, tra l’altro, si esegui’ una fantasia sul 30 atto dell’opera Emani di Giuseppe Verdi. Io, che suonavo il flauto, per tutta la durata del concerto, (lo dirigeva Adriano), non feci altro che sbattere i denti dal freddo che c’era, senza riuscire a emettere una nota. Una delle volte che andammo a suonare a Mugnano e poi a Chia, credo che sia stato nel ‘34, si parti’ dopo il servizio serale a piedi fino a Vallerano. Ricordo che io, al braccio del babbo, camminavo e dormivo.

 

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